L’arte del bondage giapponese che “lega” le coppie

Il kinbaku, detto anche shibari, è una pratica erotica che conquista per la sua bellezza. Per conoscerla meglio ne abbiamo parlato con chi la insegna.

Foto di Veronica Colella

Veronica Colella

Sex Editor

Content writer con una laurea in Scienze antropologiche e un passato tra musei e archivi. Scrive di sessualità e questioni di genere da un punto di vista sex positive, con la consapevolezza che non esistono risposte semplici a psicodrammi complessi.

L’arte del kinbaku sta attraversando una nuova fase di popolarità grazie a Instagram, ma la sua bellezza era già stata messa in risalto da maestri della fotografia come Nobuyoshi Araki. Nato a teatro imitando le strette legature a cui erano sottoposti i prigionieri, è diventato con il tempo una pratica erotica apprezzata anche in occidente, dove è conosciuta soprattutto con il termine shibari, parola giapponese che indica l’atto di legare. Chi lo pratica cerca l’estasi nella sofferenza, mettendo alla prova la resistenza del corpo e immergendosi nella propria interiorità, ma sempre consapevole della presenza dell’altro.

Fantasie a tinte forti

Cosa rende il bondage giapponese così affascinante agli occhi degli occidentali? Lo abbiamo chiesto a Marta Tenshiko, modella e insegnante di kinbaku con il progetto Rope Tales, fondato insieme al compagno per offrire corsi di bondage e portare in scena la propria arte.
«In parte è una questione di immagine, non solo perché in occidente è diventata una pratica di coppia – e quindi percepita come rassicurante e pulita – ma anche per la forte componente estetica, che ne ha fatto la fortuna su Instagram. C’è un elemento di vanità: vogliamo essere belli anche nell’erotismo» precisa Marta. I disegni tracciati dalle corde sul corpo hanno un lato artistico, un’armonia delle forme messa ancora più in risalto dall’intensità delle emozioni vissute da chi è costretto in posizioni innaturali, ma accetta quella sofferenza con eleganza e rassegnazione. «La differenza più grande rispetto al bondage occidentale non è tanto nella tecnica in sé, quanto nella fantasia a cui fa riferimento. Nel nostro immaginario c’è la fantasia del rapimento, il brutto e cattivo che ti porta via e ti fa quello che vuole, mentre in quello giapponese i temi ricorrenti sono la vergogna, l’umiliazione e la colpa».

Le fantasie vissute da chi viene legato e da chi lega possono coincidere o prendere diramazioni diverse, ma spesso hanno a che fare con emozioni che nella vita quotidiana siamo abituati a respingere. Non è un mistero che anche le donne abbiano fantasie cupe, a volte difficili da ammettere persino a sé stesse. Esplorarle attraverso il bondage può essere un modo di imparare a conoscersi, accettando che possiamo trovare eccitante anche quello che nella vita reale ci turba o ci spaventa. E di vivere queste fantasie in un contesto sicuro, dove sappiamo che non ci accadrà niente che non abbiamo scelto di lasciare accadere.

«Farsi legare facilita il viversi una propria introspezione, nel senso che le sensazioni date dalle corde aiutano a far riaffiorare ricordi e sensazioni. E allo stesso tempo è qualcosa che unisce, perché legare non è un gesto fine a sé stesso. Ha una sorta di ritualità, diventa un’estensione del tocco dell’altro, è molto intimo e richiede empatia e attenzione. Si comunica attraverso la corda, la pelle, il linguaggio del corpo di chi ti sta legando: è un susseguirsi di stimoli che ti rendono presente, da cui vorresti scappare o in cui vorresti restare. È vero che sei immersa nel tuo mondo, ma allo stesso tempo sei consapevole di essere con una persona a cui hai dato la possibilità di metterti in quella situazione, di cui ti sei fidata abbastanza da lasciarti andare».

Accettare la sofferenza

Perdersi nelle proprie fantasie è parte del gioco, ma sono proprio le sensazioni vissute dal corpo a permettere di estraniarsi dalla realtà. «La sofferenza a cui si viene sottoposti dalle corde non è vero e proprio dolore, ma come tutti i tipi di costrizione è fisicamente stressante. Non è una passeggiata di salute, perché si è legati molto stretti e in posizioni scomode in cui si fa fatica a rimanere a lungo. Gran parte delle legature sono fatte apposta per non dare mai tregua, finché non ci si rassegna al fatto di non avere altra scelta che vivere il momento così com’è» spiega Marta. «Non è facile raggiungere questa consapevolezza, a seconda del carattere può essere istintivo irrigidirsi e cercare di mantenere il controllo più a lungo possibile. Prima o poi, però, arriva il momento in cui si deve mollare la presa e abbandonarsi alla situazione».

Questa sofferenza ha anche un risvolto piacevole, non solo per la mente ma anche per il corpo. «Può essere un’esperienza molto intensa, anche per via della dopamina e delle endorfine messe in circolo dal corpo per affrontare una situazione stressante. Ecco perché alla fine, quando vieni slegata, ti senti stanca e svuotata, come se avessi fatto un grande sforzo fisico anche se sei rimasta immobile. Viviamo molto poco nel nostro corpo e ogni tanto ci dimentichiamo che non è un taxi, è una parte di noi di cui siamo davvero consapevoli solo quando ne mettiamo alla prova i limiti».

Sembra una contraddizione, ma sentirsi liberi di non essere in controllo può essere un sollievo. Per chi è abituato a gestire responsabilità e doveri, o per chi sente di dover dimostrare di essere sempre all’altezza, lasciarsi andare può essere sia eccitante che liberatorio. «Nella nostra società la performance e la scalata al successo sono molto celebrate, ma fanno anche sentire sotto pressione. A volte interpretare un ruolo completamente diverso fa stare bene, risponde a un bisogno che nella vita di tutti i giorni non trova spazio. Se per le donne è più facile parlare in pubblico delle proprie fantasie di sottomissione, per gli uomini lo stigma è ancora molto forte. Per questo preferiscono viverle in privato».

Rischioso se si esagera

Sperimentare con il bondage ha i suoi rischi, da non prendere alla leggera. «Come prima cosa si pensa alla circolazione, ma fortunatamente è tra gli ultimi dei rischi. La sensazione di intorpidimento è normale, come quando si addormenta una gamba, per cui non c’è da preoccuparsi. Bisogna invece stare attenti a non comprimere i nervi, per questo è meglio andare per gradi. Sono dell’idea che se prendi un foulard, una cravatta o persino una cintura e leghi i polsi del tuo compagno o della tua compagna a letto è difficile fare danni, anche se si è inesperti, basta avere sale in zucca e ovviamente evitare di legare il collo. Se invece si vuole provare qualcosa di più complesso, è meglio seguire un corso che spieghi dove stringere e quanto stringere».

Si tratta di un’esperienza molto intensa, sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista emotivo. Per una coppia che inizia a esplorare questo aspetto della sessualità insieme, meglio mettere in conto qualche incidente di percorso e tenere aperta la conversazione. «La responsabilità è sempre di entrambi, non solo di chi lega. Quando ci si conosce bene è più facile interpretare le reazioni dell’altra persona, capire dal tipo di pianto o dall’espressione del viso se c’è qualcosa che non va o se si tratta di una reazione emotiva, ma a leggere il linguaggio del corpo si impara con l’esperienza. E anche a capire bene quali sono i nostri limiti. Iniziare a frequentare gli aperitivi a tema può aiutare a togliersi qualche curiosità e conoscere altri punti di vista: è quello che ho fatto io, quando ai tempi dell’università mi sono avvicinata a questo ambiente. Frequentare questi eventi permette di non fare un salto nel buio e di imparare da chi ha più esperienza, in un clima di apertura e condivisione».