Deficit di vitamina D: sintomi e cosa mangiare in caso di carenza

La vitamina D si assume soprattutto tramite esposizione al sole, ma ci sono casi in cui può verificarsi una carenza. Ecco quali sono i sintomi e cosa mangiare in caso di deficit

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Antonella Lobraico

Editor specializzata in Salute & Benessere

Specializzata nella comunicazione online, ha collaborato con testate giornalistiche, uffici stampa, redazioni tv, case editrici e agenzie web in progetti su Salute e Benessere.

Per funzionare correttamente il nostro organismo ha bisogno di nutrienti come vitamine e sali minerali. La vitamina D ad esempio, un pro-ormone liposolubile, svolge numerose funzioni tra cui quella di favorire l’assorbimento di fosforo e calcio contribuendo così ad avere ossa sane e forti. Inoltre, concorre al buon funzionamento del sistema nervoso, muscolare e immunitario. Può però capitare, che i livelli di questa vitamina nel sangue siano più bassi rispetto a quelli che vengono considerati “normali”: in questo caso si parla di carenza di vitamina D o ipovitaminosi.

Le cause possono essere legate a diversi fattori tra cui:

  • bassa esposizione ai raggi del sole;
  • problemi di malassorbimento della vitamina;
  • dieta povera di alimenti contenenti vitamina D;
  • assunzione di farmaci che interferiscono con il normale assorbimento.

Vediamo quindi quali sono i sintomi di un deficit della vitamina D e quali alimenti la contengono naturalmente.

Valori normali

Per controllare i livelli di vitamina D nel sangue è sufficiente eseguire tramite prelievo ematico il dosaggio della 25(OH)D. In genere, questo tipo di valutazione viene eseguita:

  • nelle donne in dolce attesa o che stanno allattando;
  • nei soggetti affetti da osteoporosi;
  • nelle persone anziane;
  • nei soggetti che lamentano una sintomatologia riconducibile a bassi livelli di vitamina D;
  • nelle persone affette da patologie che possono provocare un malassorbimento di questa vitamina (come il morbo di Crohn, la fibrosi cistica);
  • nei soggetti che per un lungo periodo hanno assunto farmaci che potrebbero interferire con il metabolismo della vitamina D.

Come indicato dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), i valori di vitamina D considerati “normali” sono compresi tra 20 e 40 ng/mL. Quindi, i valori al di sotto di 20 ng/mL indicano una carenza che giustifica l’inizio di un’integrazione della vitamina D per ripristinarne i livelli. In questo caso, il medico di base valuterà il tipo di integrazione più idonea, oltre a dosi e tempistiche da seguire.

Livelli bassi di vitamina D indicano dunque una carenza. Il modo principale per assumere questa vitamina è esporsi al sole per almeno 30 minuti al giorno, ma può essere inoltre assunta attraverso il consumo di specifici alimenti ed eventualmente di integratori alimentari.

Sintomi della carenza

Un deficit si verifica con più frequenza nei soggetti anziani che spesso tendono a coprirsi di più e ad uscire meno di casa, come anche in coloro che vivono in aree settentrionali dove il sole fa meno capolino.

In generale, è difficile rendersi conto di una carenza di vitamina D in quanto la sintomatologia è spesso assente o associabile ad altre problematiche. Tuttavia, dolori diffusi muscolari tra cui anche una riduzione della stessa forza muscolare, stanchezza persistente, debolezza, dolori alle ossa sono sintomi riconducibili a una carenza di questa vitamina. Un deficit importante può causare anche lo sviluppo di patologie ben più gravi come:

  • rachitismo. Si tratta di una malattia rara dell’età pediatrica che provoca ossa deformabili a causa di una insufficiente mineralizzazione delle ossa;
  • osteomalacia. In questo caso le ossa diventano fragili e più esposte a fratture;
  • osteoporosi. La bassa densità minerale delle ossa provoca un loro indebolimento che le rende più soggette a fratture anche per piccoli traumi;
  • denti più soggetti alla formazione di carie perché più deboli.

Cibi più ricchi di vitamina D

Come abbiamo visto, l’esposizione della pelle al sole resta la principale fonte di assunzione della vitamina D. Questo perché la dieta contribuisce solo in minima parte a questo scopo in quanto gli alimenti ne contengono quantità esigue. Tuttavia, la vitamina D mantiene la sua stabilità anche se sottoposta a cottura e conservazione e questo è un grande punto a suo favore.

I cibi fonte di vitamina D che possiamo inserire all’interno della dieta sono per lo più pesce grasso, carne, latticini. Nello specifico rientrano:

  • fegato di manzo;
  • tuorlo d’uovo;
  • olio di fegato di merluzzo;
  • carne di maiale;
  • salmone;
  • orata;
  • sogliola;
  • trota;
  • dentice;
  • aringhe;
  • latte vaccino e di capra;
  • yogurt;
  • burro;
  • panna;
  • funghi.

La vitamina D viene spesso aggiunta anche in quelli che vengono definiti alimenti “fortificati” tra cui le bevande a base vegetale (ad esempio quelle di soia), i cereali per la colazione. Basta leggere l’etichetta sul retro della confezione per controllare se è presente o meno vitamina D.

Attenzione invece a un eccesso di alcol, all’uso di droghe o all’assunzione di specifici farmaci che possono interferire con l’assorbimento della vitamina. In tutti i casi di soggetti a rischio deficit o quando confermato dai risultati delle analisi, il medico può valutare la somministrazione di integratori appositi.

Insomma, la vitamina D potrebbe essere carente in alcuni soggetti o in presenza di condizioni e patologie specifiche. In caso di sintomi come quelli indicati, è bene parlarne con il medico per valutare il da farsi. In generale, si può rimediare facilmente alla carenza di vitamina D attraverso una buona esposizione al sole (lì dove possibile), integrando nel proprio regime dietetico alcuni cibi, o assumendo integratori dietro consulto medico.