Educazione sessuale ai figli: ecco quando cominciare

La professoressa Alessandra Graziottin affronta il delicato tema della sessualità negli adolescenti e ci dà preziosi consigli

Foto di DiLei

DiLei

Redazione

DiLei è il magazine femminile di Italiaonline lanciato a febbraio 2013, che parla a tutte le donne con occhi al 100% femminili.

Soltanto lo 0,3% delle ragazze italiane sotto i 19 anni possiede una buona educazione sessuale. Il dato sconcertante, insieme al fatto che nel 53 per cento dei rapporti sessuali non c’è volontà di usare contraccettivi, è frutto di una ricerca presentata da Alessandra Graziottin, direttore del Centro di Ginecologia al San Raffaele Resnati di Milano. Dalla ricerca è emerso anche che i genitori, salvo rari casi, non parlano di sesso ai figli. E se, nella migliore delle ipotesi lo fanno le madri, i padri invece sono praticamente assenti. Per certi aspetti entrare nel mondo complesso e rischioso del sesso per un adolescente rappresenta un’attrazione fortissima, al punto che l’età della cosiddetta “prima volta” si è abbassata moltissimo e le bambine iniziano ad avere rapporti sessuali già prima di avere le prime mestruazioni.

Professoressa Graziottin, a che età i genitori devono iniziare ad affrontare l’argomento del sesso con i figli?
Il primo punto su cui insisto moltissimo è non separare l’educazione sessuale dall’educazione affettiva, sentimentale e l’educazione a rispettare l’altro, oltre che se stessi. Quando il bambino o la bambina vedono i genitori che si vogliono bene, che si parlano in un certo modo, che si abbracciano, che si rispettano, imparano a farlo. Dobbiamo sempre ricordarci che i bambini in particolare apprendono attraverso i neuroni specchio, filmano quello che succede intorno a loro. Questa è una scoperta straordinaria che si dimostra sempre più vera, da Nobel secondo me di Giacomo Rizzolatti che è un ricercatore italiano. Quello che permea sempre di più l’educazione non è la parola, è l’esempio. Il bambino respira in casa il modo con cui si gestisce la vita. Ecco perché io dico: l’educazione affettiva. Non è che ti svegli una mattina e ti metti a parlare di pillola, l’educazione sessuale comincia proprio nel respirare il rispetto dell’altro, l’affetto, la tenerezza.

Quindi anche l’età a cui parlarne viene di conseguenza?
Sì, perché noi vediamo che i ragazzi e le ragazze che hanno delle famiglie molto solide dal punto di vista affettivo tendono a cominciare molto tardi a fare sesso. Hanno uno sviluppo affettivo molto più morbido. Per esempio fanno molto più sport.

Come influisce lo sport in questo ambito?
Abbiamo dati chiarissimi che dimostrano che ragazzi e ragazze che praticano sport tendono ad avere il primo rapporto mediamente due anni dopo gli altri.

Perché accade?
Nel frattempo hanno investito su altri aspetti della personalità. La fase dell’amicizia per esempio è più lunga, è più lunga e costruttiva la fase dello sperimentare il proprio corpo in modo non subito esplicitamente sessuale. Freud diceva che l’io è un io corporeo: quando un ragazzo e una ragazza provano la gioia di sentirsi vivi, di provarsi con le cose, di allenarsi, di gustare proprio l’abilità di compiere uno sport, hanno innanzitutto una confidenza con se stessi molto più forte, imparano a stare bene con gli altri, e imparano una cosa fondamentale: le regole. Ormai non diamo più regole questi ragazzi. Però qualsiasi pratica sportiva richiede delle regole. Allora attraverso il rispetto della regola c’è per forza anche il rispetto della disciplina: per esempio se devono allenarsi tutti i giorni, o tre volte alla settimana, vanno spontaneamente a letto prima, sennò il giorno dopo sono morti stecchiti.

Quindi è fondamentale apprendere la disciplina?
Proprio così, ma non la disciplina nel senso delle botte o dell’urlo, ma nel senso di capacità di canalizzare le proprie energie su un obiettivo. Questa è la capacità di autodisciplina: ecco che allora c’è un binomio formidabile di salute tra sport e apprendimento delle regole e del rispetto dell’altro, perché nello sport se non rispetti le regole sei squalificato. Quindi che c’è un apprendimento nel fare, ecco la pragmatica dell’educazione, che vale più di qualsiasi predicozzo. A quel punto questi ragazzi sono cresciuti facendo sport, andando meglio a scuola perché le due cose si seguono molto di più, hanno un’identità positiva.

E chi non fa sport quindi rischia anche di più?
Una ricerca svedese interessantissima appena pubblicata correla l’inattività fisica delle ragazze agli indicatori di rischio: aumenta di due volte il rischio di depressione, di tre volte il rischio di addiction, quindi droghe, alcol eccetera, di tre volte avere rapporti sessuali precoci. Veramente vediamo per la prima volta che l’inattività fisica non è semplicemente causata dalla pigrizia o dal fatto che i giovani non vogliano fare sport. Ogni emozione ha infatti un correlato motorio. Le quattro emozioni principali: appetitiva ovvero del desiderio in senso lato, dall’appetito di cibo o di ottenere qualcosa; di collera, di paura; di panico che ti viene quando ti senti solo. Hanno tutte un’espressione motoria. Se desidero qualcosa mi muovo verso quella cosa, se ho paura scappo, se ho collera attacco e se mi sento solo, avrei bisogno di un abbraccio, di un movimento accogliente. Tutte le volte che noi abbiamo un’emozione di cui non viene espressa la parte motoria, l’energia di quell’emozione ci si rivolta contro e paghiamo un prezzo in salute. In particolare l’adolescente che ha un terremoto di emozioni rispetto alle altre età della vita – perché si confronta con un tumulto ormonale, desideri e una serie di pulsioni che gli sono nuove e che possono sgomentare per la loro intensità – se ha la possibilità di fare sport e di farlo in un contesto normalizzato con delle regole, questo ragazzo scarica innanzitutto in modo sano le proprie tensioni e le proprie angosce. In genere lo sport si fa in gruppo, anche negli sport individuali ti alleni in compagnia, quindi lo stare nella squadra porta immediatamente a far crescere un altro aspetto fondamentale dell’amore che è la capacità di empatia, la capacità di condividere gli spazi con gli altri. Anche di negoziare il proprio spazio. Ecco che allora tu impari stando nella squadra o allenandoti insieme agli altri, tutto quell’alfabeto emotivo che poi ti porta naturalmente a rispettare quell’unico di cui ti sei innamorato o innamorata.

Diversamente cosa accade? Si accumulano frustrazioni?
Certo, e accade quando invece il ragazzo non ha la possibilità né di apprendere – filmando il comportamento dei genitori – il rispetto, l’amore, il tono di voce con cui ti parli, i prerequisiti per rispettare l’altro anche nell’intimità, né di praticare uno sport che gli piaccia e che gli consenta di avere autostima. Tutte le volte che facciamo bene qualcosa, il nostro amore sale, che sia giocare a palla, che sia sciare, che sia andare in bicicletta, dipingere, suonare il pianoforte. Ogni abilità coltivata aumenta l’autostima e rinforza l’identità positiva. A quel punto siccome l’adolescente ha bisogno di identità, perché è una fase che ha la massima fluidità dell’identità, aderisce all’identità negativa. E allora si aggregano sul comportamento che diventa di branco.

Come prevenire?
E allora la prima prevenzione non è fargli le prediche. È il famoso detto “verba movent, exempla trahunt”, di cui oggi sappiamo qual è la base, cioè il discorso dei neuroni specchio: cioè noi apprendiamo per imitazione. Ecco perché dico che la famiglia ha quindi un ruolo ineludibile. Un problema cardinale che non viene sollevato da nessuno perché è un problema scomodo è che oggi gli adolescenti quando i genitori lavorano e tornano a casa alle sette di sera, sono da soli a casa tutto il pomeriggio.

Quanto incide la televisione?
Un altro studio pubblicato sul Journal of adolescent health ha correlato la vulnerabilità – la probabilità che un adolescente abbia comportamenti a rischio, dal fumare presto, dal drogarsi, dai vari tipi di precocità sessuale fino ai bullismi vari – con il numero di ore di televisione viste senza la presenza di un adulto che le commenti e se necessario le stigmatizzi. L’adolescente che è solo in casa è un adolescente che ha una solitudine non confortata.

Ma i riferimenti per i bambini restano sempre i genitori, o no?
Una decina di anni fa è stata fatta quest’indagine in Italia: qual è la parola più usata dai bambini italiani? Non è più mamma, ma è casa. E questo è un passaggio epocale, perché vuol dire che il riferimento per il bambino non è più una persona ma è un oggetto, un luogo. E quando gli si chiede in caso di separazione: “Con chi vuoi stare, col papà o con la mamma?”. Risponde: “Basta che sia la stessa casa”. Sa cosa vuol dire? Ti confortano i muri poi?

Torniamo al ruolo del genitore, come affrontare il tema del sesso?
Quindi ecco perché torno all’essenzialità della genitorialità e di una genitorialità che non abdichi questa educazione ai sentimenti che passa più attraverso più il “mi prendo cura di te”. A loro volta i bambini respirano questo prendersi cura e a loro volta lo riproporranno nel prendersi cura del partner. Incluso il principio di responsabilità. Detto questo ci sono poi delle informazioni tecniche su questo terreno affettivo che è ineludibile sennò l’informazione tecnica non passa, che è quello di dire nello specifico, come gli insegnerò a nuotare, o che ci sono delle regole e se vuole andare sul motorino ci sono dei semafori, anche che per fare sesso ci vuole aver pensato prima, per esempio, che cosa uso per proteggere l’altro. Allora parleremo di profilattico, di pillola.

In un Paese come l’Italia queste tematiche sono trascurate, siamo allineati agli altri Paesi europei?
Siamo molto indietro. Mi faccia spiegare bene: abbiamo un avanti e un indietro. Da un punto di vista affettivo la famiglia tiene molto di più che nei Paesi nordici, dove c’è il record di separazione e ci sono padri molto più assenti. Gli italiani avranno tanti altri difetti, però anche dopo la separazione, non dico tutti, ma molti padri sanno fare i padri. Allora da un punto di vista affettivo la situazione italiana è ancora buona tanto è vero che gli indici depressivi degli adolescenti sono migliori dei Paesi nordici. Dove siamo indietro come non so che cosa è entrare nel merito del comportamento sessuale. Lì siamo proprio muti, anche perché sappiamo benissimo in che contesto viviamo. Ma quello che io trovo pericoloso è pensare che fare un corsetto di educazione sessuale a scuola possa surrogare anni di diseducazione al voler bene.

Ma se il sesso in tv è soltanto trasgressione o stravaganza, grazie a reality show in cui si vedono ragazze confuse che si sottopongono a interventi di mastoplastica additiva – lungi da discorsi di tipo moralistico – che idea si fanno gli adolescenti?
La mia sensazione è che l’Italia abbia una parte sana della popolazione molto consistente che però è meno visibile perché fa molto più rumore la parte malata. Allora una delle cose che mi sta molto a cuore è ridare voce alla parte silenziosa e sana dell’Italia, che può essere sia riferimento per l’educazione, ma anche che può ridare il senso del limite, il senso dell’etica, dell’avere un obiettivo etico nella vita: ognuno deve fare la propria parte, piccola o grande che sia. Proprio perché domina la parte più trasgressiva, corrotta e cinica, si deve far sentire a ciascuno che non ci dobbiamo rassegnare all’apparente dominanza di questa mediocrità volgare e banale. C’è proprio una glorificazione, in particolare della tv, del banale e del volgare. Lo ha detto giorni fa la campionessa olimpionica Josefa Idem: ridiamo voce a questa parte sana e soprattutto ridiamole fiducia di credere che vale la pena di vivere in questo Paese.