Adolescenti scontrosi e ribelli: ecco perché

La psicologa Anna Renaldin spiega i motivi del disagio adolescenziale e come è possibile superarlo

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Redazione

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“Mio figlio utilizza la casa come fosse un albergo”. “Mia figlia torna a casa, si siede al tavolo mangia in silenzio e non fa in tempo ad ingoiare l’ultimo boccone che è già sgusciata via”. “Quando faccio una domanda al mio primogentio risponde (quando risponde) con un grugnito”. Quanti genitori si riconoscono in queste scenette familiari? Molti. Ma sono ancora più numerosi quelli che lamentano di non essere più in grado di comunicare con loro. Situazione disperata dunque. Niente affatto. È il modo normale (per loro) e incomprensibile (per i genitori) di comportarsi dei nostri adolescenti. È sempre stato così? Siamo andati a chiederlo alla dottoressa Anna Renaldin, psicologa e psicoterapeuta.

Quali sono i motivi tipici che spingono un adolescente ad andare da uno psicologo?
Sostanzialmente sono abbastanza simili a quelli degli adulti. Intanto bisogna premettere che un ragazzo o una ragazza difficilmente va da uno psicologo, ma deve essere “spinto” ad andarci. Mentre l’adulto si muove direttamente perché riesce a concettualizzare, l’adolescente invece vi ci deve essere spinto. Gli adolescenti vanno dallo psicologo per problemi di scarsa autostima, tutto ciò che ha a che vedere con il corpo, casi di anoressia, di autolesionismo, di depressione, legati sostanzialmente alla crescita. Un’altra grande categoria è quella legata alle difficoltà relazionali e alla gestione dei propri fallimenti a scuola.

Qual è la differenza tra l’approccio terapeutico all’adulto rispetto all’adolescente?
Con l’adulto si può parlare, la concettualizzazione è più facile. Con l’adolescente invece si lavora soprattutto sugli aspetti simbolici, quasi ludici. Bisogna perdere il proprio statuto di terapeuti in un qualche momento per posizionarsi al loro livello. Con l’adulto posso mantenere il mio status adulto, con la mia funzione di supporto e di guida. L’approccio con l’adulto non richiede un estraniamento dal mio ruolo per entrare in un momento evolutivo diverso come lo richiede invece l’approccio con gli adolescenti.

D’accordo, ma come si traduce nella pratica questo adeguarsi al suo livello?
Semplicemente, si deve essere capaci di parlare delle cose di cui parlano loro. Vuol dire parlare di erba, di fumo, di alcol, di ragazze. Tutto questo naturalmente richiede da parte del terapeuta un salto all’indietro nel proprio eloquio, nel proprio modo di porgersi. L’altro aspetto molto importante riguarda i dissapori familiari, le separazioni e i divorzi. Ormai il 50% dei ragazzi ha genitori separati, ormai è una prassi. Per l’adolescente è sempre un problema.

È più un problema per l’adolescente che per il bambino?
In qualche modo sì. Il bambino ha maggiori risorse di fuga, di pensiero il suo apparato emozionale è più istintivo e in qualche modo riesce ad allontanarsi meglio. Adesso sto esagerando naturalmente, la separazione dei genitori ha nei due casi effetti drammatici. Ma l’adolescente avendo già una maggiore capacità elaborativa si fa dei pensieri dai quali non riesce a sfuggire. Ha quindi minori possibilità di fuga. Per il bambino il problema è la sofferenza e “se ci gioco su può anche darsi che mi passi”.

Quando si parla di adolescenti si sente sempre menzionare la mancanza di comunicazione. I genitori hanno spesso l’impressione che i veri momenti di dialogo siano ridottissimi. Ma forse ne esistono degli altri che non passano attraverso la classica conversazione
Lei sta toccando il nocciolo della questione. C’è un altro livello di comunicazione che non è quello verbale al quale noi adulti siamo abituati. Con l’adolescente è difficile. I piani di comunicazione sono altri e non verbalizzabili, sono piani che raggiungono livelli emotivi. Lui comunica con noi quando lo percepiamo nell’intimo, non con l’uso della parola. Piuttosto attraverso lo sguardo, il comportamento, attraverso “discorsi altri” che l’adulto dovrebbe rileggere in una chiave diversa.

Cosa si intende per “discorso altro”?
L’adolescente quando parla del suo rapporto con tale amico o amica parla in realtà di se stesso. Così come parla di se stesso anche quando parla del suo rapporto con i genitori. L’adolescente procede per proiezioni. Dietro le quinte c’era il genitore. Non c’è bisogno che lui venga a dirci e a raccontarci. Mentre il genitore ha bisogno di sentirsi dire per sua sicurezza e per sua insicurezza le cose papali papali che si può riassumere in un “parliamone”. L’adolescente quando si sente dire “parliamone” scappa a gambe levate, nella migliore delle ipotesi. Il “parliamone” con l’adolescente non funziona. Poi è da vedere se funziona con gli adulti ma questo è un altro discorso…

Internet, le chat, Facebook sono spesso accusati di essere soltanto dei mezzi virtuali che non rispettano i criteri di realtà. Ma è vera comunicazione?
L’adolescente come tutte le età della vita riflette il modello culturale del suo tempo. Io non sono in grado di dire se è vera a comunicazione o no, ma di certo è il modo di comunicare della cultura di oggi. E quindi siccome l’adolescente è forse più dell’adulto condizionato dalla cultura del momento è chiaro che non può non farlo.  Sapremo poi cos’ha davvero provocato questo modo di comunicare diverso. E’ troppo presto per dirlo ora. Oggi si può solo dire che un adolescente deve farlo. Non può fare a meno di farlo. Non è questione di giudicare è bene, male, è giusto o sbagliato. Se non lo fa è uno “sfigato”, detto in linguaggio adolescenziale.

Spesso il ragazzo ci assilla con richieste di ricariche sul cellulare. Ma non potrebbe utilizzare il fisso?
Sì, molti genitori mi ripetono più o meno la stessa frase: “Ma come, hai qui un telefono fisso a disposizione, perché ti ostini a chiamare o a farti chiamare sul cellulare?”. E si sentono tutti dare la solita risposta: “Perché se lo facessi nessuno mi chiamerebbe più, io devo per forza chiamare al cellulare o dal cellulare”.

Il genitore a questo punto cosa può fare?
La cosa peggiore che un adulto può fare è dire “ai miei tempi”. Questo è già, come dicono gli adolescenti “segato in partenza”.  Senza giudizi, si tratta di portare l’adolescente a una sua dimensione personale nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione.

E sarebbe?
Quella che non scimmiotta un modello prevalente. Oggi i giovani passano in media due ore al giorno davanti al computer. Non si deve perdere tempo nel giudicare se è giusto o sbagliato. E’ così e basta. Bisognerebbe invece intervenire per trasformare quest’attività, da consuetudine dettata da usanze sociali a un utilizzo che è congeniale all’adolescente  perché frutto della sua scelta personale.

Non intendevo mettere in dubbio l’utilità di pc e internet che sono ormai mezzi riconosciuti e accettati. Volevo invece chiederle se il loro uso indiscriminato non può creare confusione tra il reale e il virtuale?
In un adolescente normale e cioè con problematiche normali questo rischio non sussiste.

Interessante. Generalmente si sentono opinioni assolutamente opposte…
L’adolescente sa distinguere ciò che è reale e ciò che è virtuale. L’adolescente ha una capacità di stare sul piano della realtà molto elevata. Ma anche quella di stare su piani diversi come quella della fantasia o altri piani ancora. In questa comunicazione l’adolescente impara a esprimersi, impara a essere se stesso, un po’ nascosto magari, ma in questo momento ha bisogno di stare nascosto. In questo caso il mezzo può essere anche uno strumento di crescita e non deve essere demonizzato come forma di “non comunicazione”. Lui lì riesce a comunicare, a tirare fuori i suoi pensieri più profondi. Si rende conto che il mezzo utilizzato è virtuale ma intanto lo ha fatto. Poi si tratta di far venire fuori questa esperienza e trasformarla in realtà.